Non è mai semplice
scrivere di una persona cara appena mancata, in
particolare di Bianca Garufi, spentasi nella mattinata del 26 maggio 2006. Non
è stata soltanto la Leucò di Cesare Pavese, anche se questo, da solo,
basterebbe a farla ricordare; è stata anche una grande analista junghiana nota
non soltanto in Italia, ma in Europa e in America, come testimonia la lunga
amicizia con James Hillman, di cui fu appassionata sostenitrice quando ancora
era, per molti colleghi italiani, un illustre sconosciuto, e con tanti colleghi
di tutto il mondo. I suoi lunghi soggiorni all’estero, in particolare negli
USA e in Estremo Oriente, le avevano impresso sul volto una patina di
internazionalità con un’affascinante e misteriosa sfumatura esotica: in lei,
sicilianissima, sembrava trasparire, volta a volta, un’antica egiziana o una
moderna orientale. La avvolgeva una sorta di universalità femminile, di ewig
Weibliches, di “eterno femminino”, il che si ritrova nelle sue poesie,
pubblicate da Scheiwiller: “Sono stata cavalla/mucca farfalla/Sono stata una
cagna/una vipera un’oca/Sono stata tutte le cose mansuete/e ampie della
terra...una certezza quadrata...sono stata anche tigre/cima e
voragine/strega/sacra e terribile bocca dentata...”. Bianca è stata per
molti, con la sua umanità e la sua cultura, una vera femme
ispiratrice che alchemicamente trasformava i dubbi in entusiasmo, la viltà
intellettuale in coraggio e che riaccendeva e faceva divampare interessi vitali
sopiti e messi ingiustamente in ombra dal conformismo di ciascuno, facendo anche
generosamente conoscere l’un l’altro i suoi amici. Il cielo è stato benigno
con questa mia grande amica nel farla spegnere senza sofferenze e nel donarle,
il giorno della cerimonia commemorativa l’indomani della morte, una giornata
radiosa quali quelle che, nella sua profonda mediterraneità, amava.
Luciano
Perez
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