Introduzione

Invecchiamo quotidianamente. Il nostro invecchiamento comincia con la nascita e prosegue giorno dopo giorno. Ma quando “sentiamo” davvero che sta per avere inizio il nostro definitivo declino psico-fisico, quando ci rendiamo conto che sta avendo inizio l’ultima stagione della nostra vita, è questo il momento in cui dobbiamo sfoderare tutta la nostra grinta e ed essere capaci di un nuovo adattamento. È soprattutto nella delicata fase di passaggio tra la maturità e la senilità che il "giovane vecchio” deve adattarsi ad una nuova condizione nel rapporto con se stesso e con gli atri.

         Ora poniamoci una domanda fondamentale e cerchiamo dentro di noi stessi una possibile risposta: può la persona in età avanzata amare, creare, inventare, fantasticare positivamente, aspirare a nuove trasformazioni, sperimentare ancora una certa “leggerezza” dell'essere? Risponderemo che c'è ancora spazio nell'anziano per "l'isola che non c'è", per pensieri felici che gli consentano di volare e di poter liberare “bambini sperduti[1], oppure diremo che vi può essere solo una mesta attesa dell'isola sconosciuta del giorno dopo? La nostra risposta sarà certamente frutto del nostro sentimento generale nei confronti della vita e della personale weltanschauung ma, in parte, anche il frutto della cultura alla quale apparteniamo, cioè del modo di pensare collettivo che la comunità di cui facciamo parte ha sviluppato in generale riguardo la vecchiaia. 

         A me pare che la società post-moderna ponga l’anziano di fronte ad una delle sue tante (solo apparenti) contraddizioni: da un lato gli assegna, secondo un certo stereotipo culturale, un ruolo sociale trascurabile, se non del tutto irrilevante; allo stesso tempo gli impone di “mantenersi giovane” a tutti i costi, quale che sia l’età, impedendogli così di assaporare con serenità il “proprio tempo” (considerato che ogni periodo della vita presenta aspetti negativi e aspetti positivi).

Personalmente sono convinto che sia da tenere in grande considerazione l’ottica junghiana che riconosce anche all’anziano la facoltà di proseguire nel proprio processo di individuazione, di continuare a ricercare la propria via dell'esistere, il vero , il compimento della totalità del proprio essere; con la consapevolezza che nell’anziano, come nella persona più giovane, il percorso che porta all’individuazione non cessa mai.  

    

Ne deriva che ciascuno di noi, raggiunta la vecchiaia, non deve rappresentare semplicemente “un anziano”, ma un individuo che ha un nome e un cognome, protagonista di una “lunga” storia personale e  portatore della quantità di altre storie che riguardano il mondo vissuto che ha interiorizzato.

Date queste premesse, una psicoterapia rivolta a persone appartenenti alla “terza età” appare plausibile, soprattutto se, uscendo dalla "fatidica" tassonomia dell’etichetta, si riesce ad aiutare l’anziano a recuperare, “nome e cognome”, il profondo significato e tutto il valore del suo romanzo personale.

         Le pagine che seguono offrono una panoramica sulla senescenza[2] e sui fattori che possono influire negativamente o positivamente su essa.

Può volare ancora Peter Pan?


[1] Si tratta di riferimenti al film di  Steven Spielberg “ Hook Capitan Uncino”; Tristan Pctures; 1991.

[2] Decadenza fisica, mentale, psicologica dovuta all’invecchiamento.

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