Aspetti simbolici della disabilità

di LUCIANO PEREZ

 

E' noto a tutti che l’altro, e soprattutto il “diverso”, è il bersaglio e il ricettacolo preferito delle nostre proiezioni psicologiche negative. Vale a dire che quella parte di noi che rimuoviamo e rifiutiamo, ma che ci accompagna sempre e che potremmo chiamare, con Conrad, il nostro “coinquilino segreto” - la parte di noi che Jung definisce Ombra -  se  viene  rifiutata,  respinta  e 


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non assimilata dalla coscienza, si presenta a noi dall’esterno. Per dirla con una notissima espressione biblica, si tratta di vedere la pagliuzza nell’occhio del fratello ignorando la trave nel proprio. Ne abbiamo innumerevoli esempi quotidiani, ma anche storici e collettivi: basti pensare alla gigantesca proiezione d’Ombra sugli ebrei, sugli zingari e sugli omosessuali da parte del nazismo, sui negri negli Stati Uniti o, più in generale, sulla donna da parte di molte religioni tra cui il Cristianesimo. Questo meccanismo, ahimè così generalizzato e ubiquitario, si applica anche al caso dei disabili. Penso possa essere utile a tutti, per rendersi conto di questo meccanismo e destrutturarlo, vedere come il disabile possa essere inteso simbolicamente. Mi occuperò quindi del materiale fornito dai sogni e dai miti religiosi. Non sarà ovviamente una trattazione esaustiva, ma spero, nel tempo che ho a disposizione, di trasmettere almeno alcune idee sull’argomento.

La figura del menomato in quanto, per così dire, personaggio simbolico è diffusa ovunque. Un 

primo esempio che mi viene alla mente è il ruolo importantissimo che la menomazione imposta - anche se a volte, ma non sempre, voluta - ha in molti rituali d’iniziazione. Come sapete, per “iniziazione” s’intende quell’insieme di rituali e procedimenti rigorosamente codificati che vengono attuati affinché si passi da uno stato sociale ed esistenziale a un altro, per esempio da bambino a uomo, da bambina a donna, da essere umano comune a stregone o sciamano e così via. Questi rituali sono generalmente accompagnati da pratiche molto dolorose per l’iniziando e da vere e proprie mutilazioni. Presso alcune popolazioni africane, per esempio, si tratta dell’estrazione di un dente, in generale un canino, in Giappone viene mozzata la falange di un mignolo, tra gli indiani d’America vengono inferte ferite assai dolorose: forse molti si ricorderanno quelle rappresentate con crudezza nel film di Elliot Silverstein “Un uomo chiamato cavallo”, con Richard Harris, di diversi anni fa. Sono tutti esempi di come una “minorazione” imposta non rappresenti una “perdita” ma un’acquisizione, quella di un rango sociale superiore.


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Già questo ci può insegnare qualcosa. A un livello di raffinatezza di pensiero molto maggiore ci si può ricordare il famoso episodio del nano di un imperatore romano. Si narra che, alla domanda se soffrisse molto della sua condizione, rispondesse, essendo un profondo filosofo neoplatonico, di non potere che rallegrarsi del fatto che la natura l’avesse dotato di così poca materia, contrapposta e negativa rispetto al valore sommo dello spirito. Si può pensare, a questo proposito, alla categoria di cui quel nano faceva probabilmente parte: fisicamente menomati fino alla deformazione, i buffoni di corte erano noti per il loro acume e la loro saggezza, di cui i signori cui appartenevano approfittavano in molte occasioni, essendo inoltre gli unici a poter dire ai loro padroni quelle verità sgradevoli che a chiunque altro sarebbero costate la testa.





Espressioni del tipo “non fare il buffone” o “è un buffone” potrebbero quindi essere utilmente riviste alla luce di queste considerazioni. Quando un bambino “fa il buffone” spesso tenta di smorzare la tensione negativa accumulata all’interno della famiglia, portandovi un soffio di allegria e di giocosità.


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Sono numerosi i grandi personaggi cui la propria menomazione è presumibile abbia portato dei vantaggi. La cecità di Omero non può che avere acuito la sua capacità poetica e visionaria. La sordità di Beethoven non impedì, anzi forse addirittura facilitò, la composizione di musica sublime. Se mi permettete l’introduzione di un elemento personale, io stesso sono menomato, in quanto ho un occhio con un visus e un campo visivo molto ridotti a causa di un distacco di retina provocato da una sassata, tirata con la fionda, durante una delle molte battaglie combattute tra “bande” di ragazzi. Ebbene, la forzata cecità a letto, durata un mese, cui fui costretto dopo l’operazione, che a quei tempi era molto più lunga, complicata e invalidante nella convalescenza di quanto non lo sia ora, fu l’occasione di una profonda riflessione su me stesso, che non è stata estranea, anzi fu per essa importantissima, alla scelta, fatta molti anni dopo, di occuparmi della psiche, mia e degli altri. Devo dire che l’accettazione di quella menomazione ne ha reso possibile la trasformazione simbolica in un sogno estremamente significativo di molti anni dopo, durante la mia analisi. Sognavo di essere davanti a una vetrata multicolore e, grazie proprio alla differenza di visus e di percezione dei colori tra i miei due occhi, potevo apprezzarne la profonda bellezza; in una seconda parte del medesimo sogno la stessa imperfezione mi metteva in grado di potere essere considerato un esperto di porcellane di Sèvres che, come forse saprete, si dividono in rosse e blu. Quella che era una menomazione si rivelava uno strumento prezioso per apprezzare le differenze. Inoltre, nella realtà, quella sorta di deprivazione mi ha fatto sviluppare una passione per le immagini e per l’arte che ha arricchito immensamente la mia vita, anche professionale. Non voglio, con questo, negare la sofferenza che ogni menomazione comporta. Voglio però sostenere con vigore che ogni menomazione può rivelare una ricchezza nascosta, che soltanto grazie alla sua accettazione può rendersi palese. Si tratta ovviamente, anche se non sempre e soltanto, di ricchezze psichiche, veri tesori di cui una situazione di cosiddetta normalità può privarci senza che ne siamo minimamente consapevoli. Volendone fare una sorta di assioma, si potrebbe dire che a una menomazione fisica possa corrispondere uno sviluppo psichico. Come tutti sappiamo a nostre spese, la sofferenza è una grande maestra, maestra di vita e non di morte, come può invece diventare se si cede alla disperazione, al rimpianto o al cinismo. 

Per rimanere nell’ambito dei sogni, vorrei ricordare come la comparsa in essi di una figura o personaggio menomato possa di frequente essere un segnale positivo. Parlando in generale, l’apparizione in un sogno dell’immagine di una persona su una sedia a rotelle, amputata o in altro modo menomata rappresenta un segnale di qualcosa di negletto di cui ci si deve prendere cura, aprendo così uno spiraglio al processo di riconoscimento di parti d’Ombra, o in ombra, che permetterà in seguito la loro trasformazione. Come ci ricorda ripetutamente Jung, è dalla parte più disprezzata che spesso può giungerci un messaggio di salvezza e di redenzione. Sappiamo tutti che è dall’angolo più oscuro, negletto e disprezzato dell’impero romano che è venuto Gesù, come da un oscura tribù beduina, all’epoca considerata dal mondo occidentale meno che niente, è venuto Maometto e con lui l’Islam, una forza potentissima che ha rivoluzionato mezzo mondo. Vorrei citare, a questo proposito, la straordinaria frase di Jung che conclude la sua Analisi dei sogni:

Non dimentichiamoci che dagli ebrei, il popolo più disprezzato dell’antichità che viveva nel più spregevole angolo della Palestina o della Galilea, è venuto il redentore di Roma. Perché il nostro redentore non dovrebbe essere un negro? Sarebbe logico, e psicologicamente corretto. (1)

Il richiamo presente in un certo tipo di sogni è quindi forte e chiaro: ciò che sembra essere portatore di un’infermità o di una menomazione è, in realtà, depositario di uno sviluppo e di una redenzione. Al di là di quella che può essere un’interpretazione ad personam su di un piano personalistico, non ci può essere in questi sogni un messaggio più generale che riguarda tutti? Un messaggio del tipo: stai attento a come consideri il diverso, cerca di andare al di là della prima impressione e pensa a quanto la sofferenza gli possa avere insegnato, e quindi a quanto lui possa insegnare a te. Un messaggio del genere, a chi ha orecchie per intendere, la può dire molto lunga.

Il dioBes (Dendera)

Passando ora a un altro regno simbolico, quello della mitologia, vorrei ricordare che il personaggio del dio deforme non è affatto inusuale.

Trascurando dèi molto lontani da noi, quali quelli, a volte davvero mostruosi, di religioni che ci sono aliene, come quelle dell’America centrale o dell’Oriente, vorrei soffermarmi su due divinità del nostro bacino mediterraneo.


Il dio Bes (Cairo)


Il dio Bes (Istanbul)

La prima è il dio Bes, che appartiene sia al pantheon egiziano che a quello fenicio; un dio quindi, come dicevo prima, estremamente mediterraneo, anche se non a tutti familiare.


Bes è rappresentato come un nano dalla testa molto grossa e dagli occhi protuberanti, con la lingua fuori, le orecchie a sventola, le gambe storte e una barba, e a volte persino una coda, cespugliose e arruffate.


Nonostante il suo aspetto, però, è un dio di buon augurio, che ispira gioia e scaccia le pene, ha la capacità di scacciare i cattivi spiriti e le bestie pericolose o nocive soprattutto difendendo i bambini, suona gioiosamente l’arpa o il flauto e danza allegramente.

E’ inoltre un dio che presiede alle nascite ed è associato, come accennavo prima, ai bambini e al dio bambino.


Satuetta del dio Bes

Bes Amuleto 1

Come si vede, anche in questo caso la deformità corporea è associata a un messaggio positivo, a una benevolenza nei confronti degli esseri umani e, in quanto dio collegato alla nascita e ai bambini, a una promessa di rinnovamento, di nuova vita.

Aveva persino, nei primi secoli della nostra era, un oracolo rinomato, e ci rimangono delle prescrizioni per consultarlo in sogno.


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Bes Amuleto 3

Come si vede soprattutto da quest’ultimo particolare, è un dio, nonostante l’assoluta terrestrità del suo aspetto, fondamentalmente “psichico”, i cui influssi benigni hanno a che fare con la liberazione dagli affanni, con il procurare gioia e allegria e con le manifestazioni liete della vita in generale, il che in un certo senso, vista anche la profonda saggezza divinatoria, lo accomuna alla categoria dei buffoni di cui ho parlato prima.

Il messaggio che ci comunica Bes, nonostante la sua deformità e bruttezza, è quindi, pensando anche al fatto che è spesso raffigurato su specchi, articoli cosmetici e di toilette, amuleti e talismani, paradossalmente, un messaggio di allegria, bellezza, bonomia, difesa dalle insidie, buona fortuna e, come accennavo prima, di rinnovamento e di fecondità, poiché proteggeva i matrimoni, le donne, le gravidanze, i bambini, la casa e la bellezza stessa.


Bes Amuleto 4

Bes che suona l'arpa

Bes con tamburello

Bes che danza col tamburello

 


Manico di specchio con Bes

Bes su poggiatesta

Un dio che ci è ancora più vicino è Efesto, o Vulcano, il grande dio della metallurgia, le cui fucine sono state localizzate in vari luoghi, anche nella nostra bella isola. Se l’Etna fuma, è Efesto che sta lavorando a chissà quale prodigioso marchingegno meccanico o a chissà quale meravigliosa invenzione artistica. Efesto, secondo uno dei miti che lo riguardano, è vittima di Era (Giunone), in questo caso una madre-matrigna quale è stata madre natura per molti disabili. Lasciamo la parola a questa madre snaturata:


Velazquez: la fucina di Efesto

Ascoltate da me, o dèi tutti, con tutte le dee, come Zeus adunatore di nembi comincia ad offendermi per primo, dopo avermi fatto sua sposa solerte: ora, ecco, senza di me ha generato Atena dagli occhi scintillanti, che eccelle tra tutti i beati immortali: mentre invece, è invalido al cospetto degli dèi mio figlio, Efesto, dai piedi deformi, che io stessa ho generato: lo presi e lo gettai con le mie mani, e lo precipitai nel vasto mare. Ma la figlia di Nereo, Tetide dal piede d’argento, lo accolse, e con le sue sorelle ebbe cura di lui: così avesse scelto un altro mondo, per fare cosa grata agli dèi beati! (2)


Vulcano: moneta italiana

Efesto, però, si vendica della madre gelosa, invidiosa e maligna donandole un trono d’oro che, appena Era si siede, la imprigiona inesorabilmente; soltanto Dioniso, con le sue arti e il suo vino, riesce a convincere Efesto a liberare quella madre così negativa. Lasciando briglia sciolta alla nostra fantasia psicologica, potremmo intravedere in quest’ultima parte del mito un accenno alle possibilità tecnologiche - dai veicoli alle protesi, alle facilitazioni architettoniche - che permettono di “vendicarsi”, o perlomeno di limitare i danni, di una natura maligna. Dio dei fabbri, con cui condivide l’ambiguità tra il costruire armi e il costruire aratri, e degli artigiani, Efesto raggiunse vette eccelse sia tecniche che artistiche.

Basta ricordare, a questo proposito, il celebre scudo di Achille, la cui descrizione prende molti versi dell’Iliade, le bellissime vergini d’oro semoventi - un’anticipazione straordinaria dei nostri robot! - l’ingegnoso letto-trappola grazie al quale colse in flagrante ed esibì al ludibrio degli altri dèi Ares (Marte) e l’infedele Afrodite (Venere). Questo fa venire in mente uno dei punti di rassomiglianza tra Efesto e Bes. Oltre alla deformità delle gambe e ai capelli e alla barba ispidi, Efesto, nei vari miti che lo riguardano, ha sempre a che fare direttamente con la bellezza femminile. “Pur nella sua mostruosità”, dice Alfonso M. di Nola, Efesto è amante fortunato. Nell’Iliade ama Charis, la ‘Grazia’. In Esiodo, ha come sposa Aglae, la più giovane delle Cariti. Celebri sono le sue avventure con Afrodite, che gli è attribuita da Zeus come moglie legittima e che lo tradisce con Ares. Osa assalire la stessa Atena e dal contatto nasce Erittonio. (3)


Raffaello: Stanza di Eliodoro

Il rapporto tra deformità e bellezza, non riducendolo a una contrapposizione banale e senza senso, fa pensare. La deformità del corpo, si potrebbe pensare psicologicamente, apre a una serie di bellezze “divine” e quindi psichiche. La deformità può essere la “porta” attraverso la quale si può arrivare alla bellezza. Non va dimenticata la perizia artistica e “tecnologica” di Efesto che citavo prima. Anche qui si può ipotizzare che la menomazione apra la strada a una “specializzazione” dell’individuo che gli permetta, essendo Efesto un dio, di raggiungere traguardi, pur all’interno delle sue limitazioni, “divini”. 


La scala di Giacobbe (scultura contemporanea)

Vorrei portare ancora un esempio, tratto questa volta dallaBibbia, in cui un sogno e una visione hanno, nuovamente, un’importanza enorme: si tratta del sogno e della visione di Giacobbe, di cui la seconda ha per il nostro tema un grande rilievo.















 


Il primo viene raccontato così nella Genesi:

Giacobbe partì da Betsabea e si diresse verso Harran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo: ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco. La terra sulla quale sei coricato la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e mezzogiorno. E saranno benedette per te e la tua discendenza tutte le nazioni della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t’ho detto. (4)


Jacob Epstein: Giacobbe lotta con l'angelo

La visione ha luogo più tardi:


Giacobbe lotta con l'angelo (scultura contempranea)

Durante quella notte egli [Giacobbe] si alzò, prese le due mogli, le sue schiave, i suoi undici figli e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e fece passare anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse : “Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora”. Giacobbe rispose: “Non ti lascerò se non mi avrai benedetto!”. Gli domandò: “Come ti chiami?”. Rispose: “Giacobbe”. Riprese: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Giacobbe allora gli chiese: “Dimmi il tuo nome”. Gli rispose: “Perché mi chiedi il nome?”. E qui lo benedisse. (5)

Come potremmo considerare, ovviamente da un punto di vista psicologico e non religioso, questi due racconti? Una prima cosa che colpisce e che possiamo porci come domanda è: perché Giacobbe - avendo già ricevuto in sogno la benedizione e l’impegno solenne di Dio di dargli un paese, una discendenza “come la polvere della terra”, un ampliamento in ogni direzione e accordandogli inoltre la propria protezione dovunque andrà e assicurandogli che non lo abbandonerà mai - deve poi affrontare quello scontro “fino all’aurora” per avere un’altra benedizione e uscirne sciancato? Se noi esseri umani giuriamo “in nome di Dio” per rendere sacro e inviolabile ciò che diciamo, la promessa di Dio stesso è sacra, inviolabile e immutabile all’ennesima potenza. Perché, quindi? Una prima risposta può essere questa: la prima promessa e la prima benedizione vengono fatte a Giacobbe durante la notte e in sogno, in uno stato quindi di incoscienza dell’io, e quindi potrebbero rappresentare, da un punto di vista psicologico, una potenzialità.


Gustave Moreau: Giacobbe lotta con l'angelo 

M. Segal: Giacobbe lotta con l'angelo

 

 

Come sappiamo per esperienza, l’inconscio è progettuale e, in quanto tale, offre delle intuizioni del futuro e delle prospettive che, però, è l’io a essere chiamato a realizzare. La seconda benedizione, che avviene all’aurora, quando la notte dell’incoscienza e della progettualità inconscia è trascorsa, può rappresentare quindi una potenzialità che si è attuata e di cui l’io ha adesso padronanza assoluta. La menomazione fisica, però, che cosa significa?  E’  un  segno

 visibile, come del resto il mutamento del nome, di una seconda nascita, del patto avvenuto e della benedizione ricevuta, una menomazione del corpo che implica un’elevazione spirituale, la possibilità da parte di Giacobbe di salire e scendere la scala che era al centro del sogno precedente. Soltanto così, fisicamente menomato, l’ascesa spirituale è possibile. Siamo ritornati, a ben altro livello, alle considerazioni fatte all’inizio a proposito dell’iniziazione. Per salire ci si deve paradossalmente diminuire. Non possiamo quindi considerare la menomazione di molti disabili un segno di qualcosa che potremmo interpretare come una possibilità di crescita spirituale, anche se pagata a carissimo prezzo? Io credo che questa possibilità esista e che, tenendola presente, si possa dimenticare per sempre il detto odioso, che ho avuto occasione di sentire nella mia infanzia: “dai segnati da Dio ti guardi Iddio”. Al contrario, quelle persone sono state “toccate” da Dio, anche se sotto la forma della sofferenza e della menomazione, e, in quanto tali, hanno diritto non soltanto alla nostra comprensione ma a una sorta di “dignità” particolare e sacra, e questo vale ancora di più per loro nei confronti di se stessi. Come medico so bene che per molti disabili non si può sperare in una crescita psichica ma, sempre come medico, so che questi ultimi pazienti ci possono perlomeno insegnare l’umiltà, la devozione e la dedizione incarnate, al di là della competenza tecnica, da Asclepio, il nostro dio.

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1) C.G. Jung, Analisi dei sogni, traduzione e cura di Luciano Perez, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p. 670.
2) “Inno omerico ad Apollo”, in Inni omerici, a cura di Filippo Càssola, Fondazione Antonio Valla, A. Mondatori editore, Milano, 1975, p. 133, versi 311-321.
3) Voce “Grecia, religioni della”, in Enciclopedia delle religioni, Vallecchi, Firenze, 1971, vol. 3, colonne 547-548.
4) Genesi, 28, 10-16.
5) Genesi, 32, 23-30.
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Relazione tenuta in Marsala, Complesso monumentale di San Pietro, 3 Dicembre 2004. _______________
Luciano Perez, M.D., è psichiatra e psicologo analista, membro della IAAP di Zurigo e del CIPA di Roma. È anche membro della Società italiana di storia delle religioni; Amici di Eranos, Ascona, Svizzera; e Presidente Onorario di Amici della collina, Catania, un’associazione per lo studio della psicologia immaginale e archetipica. 
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