I PROCESSI DI IDENTIFICAZIONE 
NELLA LOTTA AI FONDAMENTALISMI


di Alfredo Anania


Una mia paziente una volta mi raccontò che quando, ancora fanciulla, ebbe occasione di fare una crociera nel Mediterraneo insieme ai propri genitori, sviluppò l'abitudine, all'arrivo nei vari porti, di cercare di "vedersi" con gli occhi degli altri: gli occhi di quelli che dalla banchina la vedevano affacciata dal ponte della nave.

Dal momento che, anche nel caso di relazioni totalmente anonime, ciascuno concorre insieme agli altri a formare uno stesso campo-psicologico/contesto, la capacità di "vedere" se stessi con gli occhi degli altri - o il tentare di fare ciò - qualora attuato sistematicamente nella vita di ogni giorno, ci aiuterebbe molto nelle relazioni interpersonali e nella vita sociale. Ma ancor più, forse, potrebbe aiutarci a comprendere più profondamente le radici delle diverse forme di fondamentalismo, e , conseguentemente, a prevenire, fronteggiare e combattere azioni terroristiche, attentati, guerre e cose del genere. 

Mio suocero - che era stato chiamato alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale e aveva avuto salva la vita grazie all'aiuto di una giovane donna appartenente allo popolazione "nemica" e, successivamente, dopo essere stato fatto prigioniero dai precedenti "alleati", era stato tenuto per un anno in un campo di concentramento - era, a mio giudizio, un ottimo giocatore di scacchi, dato che, prima di studiare le proprie mosse, cercava di osservare la posizione dei propri pezzi sulla scacchiera  con gli occhi dell'avversario mettendosi nei panni di costui e cercando di anticiparne le possibili mosse. In pratica, egli si metteva psicologicamente dalla "parte avversaria" per scoprire come avrebbe potuto "battere se stesso"; ciò gli permetteva non solo di predisporre piani di attacco efficaci ma anche e soprattutto di predisporre insuperabili difese che rendevano veramente difficile dargli scacco matto. Evidentemente questa possibilità di mettersi nei panni del giocatore avversario gli riusciva tanto meglio quanto maggiore era la conoscenza psicologica della persona contro la quale egli stava giocando. 

Luigi Pirandello è stato insuperabile (basti leggere: Uno, nessuno e centomila) nel fare comprendere come l'immagine che ciascuno ha di se stesso è anche frutto di quel che egli pensa che gli altri pensino di lui. Ora, il mettersi nei panni  dell'altro per vedere se stessi con gli occhi dell'altro,  nel momento in cui una qualche forma di relazione si stabilisce tra noi stessi e l'altro, è un processo di identificazione che, con una forzatura terminologica, potremmo chiamare "estroiettiva"; essa certamente non attiene soltanto all'individuo ma anche ai gruppi, dai piccoli ai macrogruppi sociali, dai gruppi che hanno una realtà sostanziale a quelli che si fondano su semplici appartenenze ideali di riferimento o a quelli che che rappresentano veri e propri mondi culturali e/o  forme/sistemi sociali e/o religiosi estesi (ad esempio gli orientali, i cristiani, i neocapitalisti, i no-global e così via). 

Ho altrove messo in evidenza le differenze tra sentimenti diversi come simpatia, compassione, empatia, immedesimazione (1); naturalmente ho fatto riferimento a processi inconsci di identificazione (2). Introducendo qui il concetto di "identificazione estroiettiva" - che pur sempre rappresenta, ribadisco, una forzatura terminologica -  faccio riferimento non ad un processo psicologico inconscio ma all'adozione di un atteggiamento psicologico del tutto volontario e controllato nel tempo. Alcuni recenti sviluppi teoretici riguardo i fondamenti del sapere scientifico possono aiutarci. Non è questa la sede per approfondire temi così vasti, ma basterebbe già fare riferimento all'epistemologia della complessità per ammettere come l'osservazione scientifica e la spiegazione del mondo  possano essere diverse con il variare del punto di osservazione e del contesto; pertanto, quel che "osserva" un determinato soggetto ha altrettanta valenza dell'osservazione pur diversa operata da un altro soggetto. Procedendo per metafore, si può affermare  che la "visione del mondo" o il risultato della ricerca scientifica di un osservatore che sta sulla cima di una montagna sarà totalmente opposta rispetto alla "visione del mondo" o risultato di ricerca di un altro osservatore che sta sulla cima del monte di fronte, anche nel caso in cui entrambi utilizzino analoghi strumenti  di osservazione e di validazione scientifica. La consapevolezza di questo inevitabile intrudere dell'osservatore (personale posizione fisica nel campo osservato, propria appartenenza culturale, strumenti di osservazione utilizzati, e così via) e quindi la consapevolezza che non esiste la possibilità di scoprire e conoscere "verità" ma solo di scoprire e conoscere "realtà" esperite (quelle che l'osservatore potrà cogliere dal punto della montagna in cui egli si trova, ma che non potrà corrispondere alla realtà esperita dal suo collega che si trova nella montagna opposta) innanzitutto può allontanarlo da ogni rischio di "fondamentalismo" e allo stesso tempo gli permetterà di mettere insieme le conoscenze della realtà acquisite personalmente con le conoscenze della realtà acquisite dall'altro che si trova sul punto opposto per raggiungere insieme un  sapere e una conoscenza di 1+1 gradino più complesso che in precedenza.  

Recentemente una mia amica esperta in etnologia mi faceva notare come, al di là di ogni significato simbolico e retaggio culturale, il burka sia un accorgimento molto utile per salvaguardare  l'apparato respiratorio in regioni del mondo dove vento e polvere costituiscono una miscela molto invasiva dell'organismo. Questo però non spiega il perché dell'imposizione del velo in volto, in certi paesi, riguardi soltanto le donne. Potrebbe essere collegato al fatto che la donna, essendo l'essere che ha il principale ruolo ai fini della conservazione della specie (mette al mondo i figli, li allatta e, il più delle volte, li alleva) è oggetto di  particolari attenzioni e protezione. 

 

 

"E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi sì da mostrare gli ornamenti che celano" (3).


Molte altre ipotesi, però si affacciano alla mente, come, ad esempio,  il fascino e la curiosità che può derivare da ciò che è nascosto, o il potenziamento dell'azione "magica" degli occhi, in termini di richiamo sessuale, attraverso l'occultamento del resto del volto, o, più, semplicemente l'opportunità che anche le donne meno attraenti possano comunque attirare il maschio attraverso abiti che nascondano abbondantemente le loro reali fattezze. Nelle società occidentali, durante il carnevale - festa rituale ormai, salvo alcune eccezioni,  sempre più in disuso anche a causa della sempre maggiore distanza dall'antichità classica (feste dionisiache) - il primo nascondimento riguarda il volto; in particolare, esiste una maschera, il cui nome la dice lunga, il "domino" che nasconde così bene la persona che a volte è molto difficile intuire se chi la indossa sia un maschio o una femmina. 

 

 

"O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate" (4). 

 

 

Un'altra spiegazione riguardo l'usanza del burka può tenere conto di primitivi sentimenti di possesso e di gelosia possessiva da parte dei maschi i quali, in culture poco evolute (che non riconoscono la parità dei diritti tra gli esseri umani) cercano, nascondendole agli altri il più possibile, di tutelare la donna o le donne, nelle società poligame, sulle quali, così come avviene per le cose, possono vantare una "proprietà"; infatti, se ha ha ragione il detto cinese che il vero ladro è il proprietario che lascia il cassetto aperto,il miglior modo da parte del maschio per evitare che gli vengano rubate le donne delle quali è "proprietario" è di nasconderle il più possibile attraverso appositi indumenti. Quel che però qui soprattutto potrebbe interessare è cercare di capire, mettendoci nei suoi panni, i sentimenti che può suscitare in un mussulmano credente, ad esempio, la crescente tendenza della società occidentale a denudare sempre di più le proprie donne (spot pubblicitari, sfilate di moda, mercato pornografico e così via) per degli scopi puramente commerciali.  

Prendendo ora in considerazione un altro tipo di questioni, dovremmo chiederci come i paesi del "terzo mondo" "vedono" gli occidentali quando nazioni che si sono auto-riconosciute gli "otto paesi più ricchi del mondo" (G8) si riuniscono per discutere le sorti dei paesi dove la gente muore per fame e per decidere se "dispensarli" - quando non se ne può proprio fare a meno - da debiti che non potrebbero mai essere pagati. Un tempo i ricchi, soprattutto quelli meno arroganti e più timorati di Dio o anche i più pavidi, erano attenti a non ostentare la propria opulenza per evitare, a seconda dei casi, di offendere moralmente la gente meno fortunata o meno capace di crearsi una ricchezza materiale oppure per evitare di suscitare troppa invidia.    

Ci siamo mai chiesti se c'è una differenza tra terroristi e kamikaze? Anche  se l'effetto finale è lo stesso (abbiamo il terrore delle loro azioni) siamo in grado noi occidentali di metterci nei panni di chi si immola, giusta o sbagliata che sia, per una causa? Siamo in grado di distinguere tra chi fa stragi seminando bombe di nascosto e chi invece - come, per esempio, Sansone contro i Filistei o Pietro Micca contro i francesi - mette la propria vita al servizio - ripeto, senza entrare nel merito della sua giustezza o meno - di una causa? 

 

Durante la guerra di successione spagnola, i Francesi avevano preso d'assedio Torino per invadere poi il resto dell'Italia. Al fine di difendere la città, Vittorio Amedeo II di Savoia aveva assoldato dei minatori per fare loro scavare un sistema di gallerie destinate a rinforzare le mura esterne della Cittadella. Pietro Micca era uno di questi minatori.

Nella notte del 29 agosto del 1706, alcuni granatieri francesi erano riusciti a penetrare nella galleria che conduceva alla Cittadella ed erano in procinto di sfondare la porta che avrebbe aperto il varco al resto dell'esercito francese.

Pietro Micca, il quale era di guardia a quel settore, comprese che l'unico modo per contrastare il nemico era accendere un fornello da mina con una miccia corta, in modo da far crollare in tempo la rampa che avrebbe consentito ai francesi l'accesso all'interno della Cittadella, ma sacrificando la propria vita dato che non avrebbe avuto più il tempo di mettersi in salvo prima dello scoppio. Infatti, morì a seguito dell'esplosione della mina che egli aveva acceso ma salvò dall'occupazione francese Torino che lo proclamò proprio eroe.

 

Di contro, sono in grado i fondamentalisti islamici di mettersi nei panni dei martiri Cristiani, che seguendo proprio l'esempio di Cristo, si facevano uccidere dai gladiatori, si lasciavano mangiare dai leoni nel Colosseo, piuttosto che rinnegare la propria fede? E' capace un terrorista islamico o un kamikaze di mettersi nei panni di chi porge l'altra guancia a chi ti sta uccidendo? Cosa pensano i fondamentalisti che siano stati gli Unni, Attila, ad abbattere l'Impero Romano? No! L'impero Romano è caduto perché totalmente indebolito sia dalla propria decadenza morale e spirituale sia dal serpeggiare al suo interno della grande rivoluzione culturale portata dal Cristianesimo. Infatti, non sono le rivoluzioni armate che hanno la vittoria finale ma le rivoluzioni delle idee!

Gli studi psicoanalitici possono aiutarci a comprendere - ma non a risolvere tout court - alcuni complessi meccanismi psicologici che intervengono nei processi estraniazione, inimicazione, e, in taluni casi, alla lotta armata e alla guerra.    

Franco Fornari, nel suo scritto Psicoanalisi della guerra, cita alcuni studi socio-analitici in base ai quali è possibile distinguere, in  generale, per quanto riguarda  l'atteggiamento ideologico-politico, tre categorie di persone:  gli autoritaristi, i lealisti e i sovversivisti. Gli autoritaristi sono persone che non mostrano di avere una particolare dedizione ad una determinata etica morale, mentre tendono ad accettare, piuttosto passivamente, per un bisogno di obbedienza, qualsiasi etica imposta dalla società alla quale appartengono. I lealisti sono invece persone le quali tendono ad una responsabilizzazione personale per il bisogno di identificarsi con un determinato codice morale idealizzato. Infine, i sovversivisti, sono coloro i quali tendono a rifiutare e ad opporsi all'etica morale e alle regole imposte da una determinata società. E' evidente il rischio implicito che ciascuno degli atteggiamenti riportati contiene in sé: l'autoritarista rischia spesso di diventare inumano nel conseguimento di ciò che considera un superiore dovere; il lealista frequentemente protende verso la fondazione di nuovi codici morali, il più delle volte centrati, se pur inconsciamente, su egocentriche visioni del mondo; il tipo sovversivista rischierà sempre di ricorrere ad azioni violente per la tendenza a rigettare paranoicamente sugli altri le proprie colpe o i peccati, reali o immaginari.       

Raffaella Anania, cita Franco Fornari, perché questo autore, nell'esaminare la guerra dal punto di vista psicoanalitico, "mette in rapporto questo ricorrente fenomeno sociale - oltre che con fattori che possono risultare direttamente evidenti, ma non esaustivi, quali i fattori demografici, economici, ideologici, religiosi o più semplicemente di tipo “espansionistico” o, al contrario, “difensivo” - anche con fattori psicologici profondi quali: a) la deflessione all'esterno dell'emergere del terrificante interno ....- in altri termini, il trasferimento sul nemico esterno del nemico interno -; b) processi del tipo elaborazione paranoica del lutto presente nei primitivi - cioè il rivolgimento dei propri sentimenti di colpa inconsci, in occasione della morte di membri del proprio gruppo, in accuse nei confronti del gruppo rivale -; c) il sacrificio del capro espiatorio (vide Girard) (5) - sotto forma di infanticidio differito -; d) la ricerca di validazione attraverso la prova di verità - è vero ciò che vince, ciò che vince è giusto, chi perde è falso/ingiusto. Fornari, inoltre, pone l'accento sul fatto che « quando una realtà distruttiva viene coperta da simboli d'amore esiste la possibilità che ciò costituisca una operazione destinata a coprire profonde angosce depressive o persecutive» e che, pertanto, si possano verificare facilmente delle “distorsioni della realtà” tali da impedire la previsione di tutte le conseguenze possibili dell'agire" (6).

Come ho già messo in evidenza in un altro scritto, periodicamente "la comunità internazionale si lancia su grandi questioni riguardanti la diversità tra le culture, la vitale necessità della loro sopravvivenza, la legittimità dell’etnocentrismo. Queste ondate d’attenzione verso l’Altro molte volte non sono né casuali né dettate da afflati filantropici ma sono ricollegabili a ben determinati accadimenti storici e sociali che consistono in movimenti, il più delle volte sovranazionali che si ergono per opporsi, ribellarsi o distruggere la cultura che in questo o in quell’altra regione del globo terrestre appare dominante e che rendono pressante l’esigenza di capire soprattutto “di che natura è” l’avversario che ci si trova di fronte. I fenomeni di contestazione interna invece sono più spesso trascurati sin quando non sono avvertiti come una vera minaccia al mantenimento dello status quo. Sì, perché il paradosso interno ad ogni potentato culturale è che il cambiamento è concepito solo nel mondo dell’Altro! Su un livello differente si colloca l’apprezzamento estetico per il folklore, le tradizioni popolari e le usanze locali in mistione con la curiosità che si dirige verso tutto ciò che appare naif e con l’amore per le radici nelle quali ci si vuole riconoscere per rinsaldare i fondamenti della nostra appartenenza e per recuperare le matrici culturali di quello che ho definito Self Storico. Pietre miliari sono i simboli, unitamente ai miti e alle narrazioni, attraverso i quali ogni cultura si condensa e si tramanda. L’allargamento dello spazio “morale emozionale e intellettuale” (Wittgenstein) in cui viviamo trae alimento dalla capacità di identificarsi con il mondo dell’Altro nella sua dimensione storica orizzontale e verticale" (7). 

Chi si occupa di psicologia dello sviluppo sa bene che il bambino conosce se stesso incontrandosi e rispecchiandosi negli altri bambini; anche nel caso delle appartenenze culturali è necessario affinare sempre più strumenti  che offrano dei set plausibili per incontrare l'Altro e soprattutto per comprendere ancor meglio - attraverso il cogliere più profondamente le reciproche somiglianze e le diversità -  noi stessi, le nostre identità culturali, i nostri modi di sentire e di essere al mondo. Noi abbiamo messo a punto e portiamo avanti un modello abbastanza seducente quale il Seminario Itinerante “L’Immaginario Simbolico” - del quale stiamo per realizzare la quinta edizione - che consente un percorso gruppale in grado di cortocircuitare il mondo sociale contemporaneo con le matrici culturali di cui ciascun partecipante è anche nell’inconscio portatore/rappresentante, ma anche altre esperienze potrebbero, dovrebbero, affiancarsi alla nostra e proseguire una ricerca sui modelli più utili a stabilire ponti sociali tra culture abbastanza diverse nel massimo rispetto delle identità delle quali ciascuna è portatrice.
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Note e Riferimenti Bibliografici

(1) «La simpatia differisce dalla compassione (che implica il coinvolgimento nella sofferenza) perché si tratta sempre di un forma di coinvolgimento ma attraverso un tipo di sentimento diverso rispetto a quello provato dalla persona che lo ha suscitato; pertanto è una partecipazione emotiva/affettiva allo stato emotivo/affettivo dell'altro ma in forma non-identica all'altro; ad esempio, partecipare con pietà ad un dolore altrui è diverso dal provare lo stesso dolore dell'altro. L'empatia è l'unione o fusione emotiva/affettiva con l'altro; ad esempio, due consanguinei ai quali muore un familiare provano lo “stesso” dolore. L' immedesimazione è la penetrazione emotiva/affettiva che conduce a cogliere l'intimità delle reazioni dell'altro» (Il "Grande Anello" Psicosomatico; Psicologia Dinamica, Anno V,nn.1-2-3, 2002).

(2) «L' identificazione introiettiva è l'assimilare inconsciamente parti dell'altro come parti di se stesso; l'assumere in se stesso l'altro senza però con questo alterare la verità dell'altro; il farsi identico (anche solo nell'immaginazione) all'altro, uniformandosi ad esso, cioè vivendo, pensando agendo come l'altro. L' identificazione proiettiva è il vivere (anche solo fantasticamente e inconsciamente), come esterne, parti di se stesso “proiettate” nell'altro. La comprensione identificatoria è una capacità che possiamo attribuire anche ai più recenti robot di tipo umanoide i quali sono in grado non solo di esprimere, attraverso la mimica facciale, diversi sentimenti (come è il caso di Saya, l'automa antropomorfo realizzato dalla Honda ) ma addirittura hanno la capacità di riconoscere, attraverso il timbro di voce, gli stati d'animo dell'interlocutore e di fornirgli risposte adeguate (come ad esempio Ifbot realizzato dal Business Design Laboratory di Nagoya )»; (Il "Grande Anello" Psicosomatico; Psicologia Dinamica, Anno V,nn.1-2-3, 2002).

(3) Il Sacro Corano, Sura 24, versetto 31.

(4) Il Sacro Corano, Sura 33, versetto 59. 

(5) René Girard; Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, 1987.  

(5) Franco Fornari; Psicoanalisi della guerra; Feltrinelli, Milano, 1970. 

(7) Prefazione a Raffaella Anania, Matrici culturali e trasformazioni della comunità; Psicologia Dinamica, Anno VI, nn.1-2-3, 2002. 

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23 Agosto 2005©www.psicologia-dinamica.it

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