3 La psiche del kamizake
(in PSICOLOGIA DINAMICA, nn. 1-2-3, Anno IV, 2000)

James Hillman (1) pone la prospettiva del suicidio non soltanto "come una uscita dalla vita ma anche come un ingresso nella morte". Il problema non è solo in rapporto alla rottura nei confronti del pensiero e della morale della collettività che si oppone e deplora il gesto, ma soprattutto in relazione al fatto che il suicidio "sottolinea in modo radicale la realtà indipendente dell'anima". L'analista, afferma Hillman, si trova di fronte a dei problemi che nel paziente rappresentano «soprattutto esperienze e sofferenze, problemi con una 'interiorità'. La prima cosa che il paziente vuole dall'analista è di renderlo consapevole della sua sofferenza e di attirarlo nel suo mondo di esperienza. Esperienza e sofferenza sono termini strettamente associati con anima».

L'Anima, alcune volte gioisce altre volte patisce, ma è così delicata, reattiva, sensibile da rannicchiarsi facilmente in sé, a volte sino a quasi scomparire, quando ha la sensazione che le si stia facendo un torto o che la si stia trascurando, altre volte sino ad annullarsi totalmente quando si sente ferita "a morte".

Le "ragioni dell'Anima" esistono e sono molto profonde, solo che appaiono "senza ragione" a tutti coloro che vorrebbero accostarsi ad essa con la logica della mente ordinaria. Per questi motivi, sottolinea giustamente Hillman, nel corso di un trattamento psicoanalitico, il terapeuta deve avvicinarsi all'Anima evitando di "procedere con un atteggiamento di prevenzione", poiché solo in questo modo gli sarà possibile mantenere quel contatto necessario a poter comprendere quel che ad essa sta accadendo.

Il fatto è, che siamo poco abituati a trattare con dimensioni psicologiche cariche di valenza simbolica e con espressioni della psiche che rappresentano soprattutto "realizzazioni simboliche".

A costo d'essere frainteso, ma con onestà intellettuale, voglio sostenere che l'Anima del kamikaze (2) non disdegna di perire, la sua azione autodistruttiva è carica di valenze simboliche (3).

Non saremo mai in grado di comprendere a fondo il kamikaze, non potremo mai entrare nella sua psiche e, quindi, non potremo mai sconfiggerlo anche con sistemi che non siano solo bellici o non potremo prevenirne le azioni, sin quando non saremo in grado di comprenderne "l'Anima", che è distante "anni luce" dalla cultura occidentale che può accettare di mandare a possibile morte sul campo di battaglia anche centomila uomini ma che difficilmente concepisce l'immolarsi personale per una causa. E chiaramente non stiamo discutendo sul fatto che la causa sia giusta o sbagliata! Non credo, infatti, che possa esistere persona al mondo, dotata di un briciolo d'umanità, che non provi un profondo disgusto di fronte alla strage di vite umane!

Solo che se vogliamo accostarci all'Anima dell'altro e se vogliamo trovare "le parole" - ciò sia nel campo terapeutico, che nel campo sociale, che nel campo interculturale - dobbiamo avvicinarci ad essa Anima comprendendo le sue sofferenze e le sue "irrazionalità" più intime, senza preconcezioni che oscurino una più penetrante visione di quella parte della psiche che possiamo considerare il nucleo più profondo dell'esperienza.

Se rivolgessimo lo sguardo alle vicende gruppali con un occhio meno entusiastico di quello che caratterizza in genere il terapeuta di gruppo, potremmo scoprire anche i lati più pericolosi della dimensione collettiva e del nostro essere sociale o "Noità".

Ad esempio, le aggregazioni in gruppo possono presentarsi "socialmente patologiche" cioè devianti sulla base di perversioni o "aberrazioni" degli assunti di base sino al costituirsi di "corpi sociali specializzati" nella gestione e nel mantenimento degli assunti di attacco-fuga (malavita organizzata, mafia ecc.), di accoppiamento (prostituzione organizzata), di dipendenza (gruppi di tossicodipendenti). Inoltre, è nell'azione di gruppo che, come nel caso della guerra, trova deresponsabilizzazione l'azione vietata al singolo.

Ora a me sembra di potere evidenziare come contenga anche un nucleo profondo di verità l'antico detto romano "senatores boni viri, senatus mala bestia". E' su questi aspetti della gruppalità che si appunta la parte pro-individualista della nostra esperienza, senza poi riuscire a propendere per uno dei due poli del binomio individuo-gruppo. Solamente, non dobbiamo mai dimenticare che dietro diversi avvenimenti sociali negativi si può scoprire l'influsso di un esiguo numero di mandanti ed una vasta moltitudine che esegue acriticamente per assoggettamento alla "sindrome del gregge".

Aveva in fondo così torto Freud quando nella sua analisi del mondo sociale vedeva la massa come soggiogata dalla figura del capo, per un processo di identificazione globale accomunante la maggioranza delle persone?

Poi, che il capo sia inconsciamente un perfetto interprete dei sentimenti sotterranei della collettività (Bion) di cui è, pertanto, espressione piuttosto che un "trascinatore" di popolo, a me pare che dal punto di vista pratico non cambi molto!

Un ultimo aspetto che desidero segnalare riguardo alla psicologia del kamikaze è la presenza di un doppio meccanismo distruttivo, a causa della contemporaneità di due dinamiche di morte, una collegata alla "logica" inconsciamente presente usualmente nell'omicidio e nella guerra (mors tua - vita mea) a cui si aggiunge la "logica" del nichilismo distruttivo (mors mea - mors tua) tipico di chi è privo di speranza di sopravvivenza, perlomeno di sopravvivenza su questa Terra, che richiama alla mente il biblico epilogo della lotta di Sansone: muoia Sansone con tutti i Filistei! Probabilmente cogliere gli aspetti di disperazione presenti in ogni forma di azione kamikaze e lavorare per ridare speranza a chi ne appare totalmente privo potrebbe contribuire a trovare soluzioni più durature alla questione delle azioni distruttive compiuta dagli uomini e dalle donne kamikaze.


Note

(1) Hillman J., Il suicidio e l'anima, Astrolabio ed., Roma, 1972, pagg. 7, 28,33, 37.
(2) da tenere distinto dal "terrorista".
(3) Affermo questo da persona che non ha mai posseduto un'arma. L'unica volta che ho sparato un colpo è avvenuto all'epoca in cui frequentavo il liceo; sono stato felice di aver mancato quel povero, inerme uccellino contro il quale avevo diretto la mira, naturalmente a dispetto della migliore tradizione che caratterizza la "nobile arte della caccia"!

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